Archeoplastica è un progetto per sensibilizzare sul problema dell’inquinamento da plastica e promuovere un uso più consapevole e responsabile attraverso la resa pubblica dei ritrovamenti. E, come ogni fine estate, la terra, le spiagge e il mare sembrano fare i conti con questo materiale, sempre più presente.
Inquinamento da plastica, un problema da risolvere al più presto
Un mondo senza plastica o polimeri organici sintetici sembra oggi inimmaginabile, eppure la loro produzione e utilizzo su larga scala risale solo al 1950 circa. Sebbene le prime materie plastiche sintetiche, come la bachelite, siano apparse all’inizio del XX secolo, l’uso diffuso di plastica non si è verificato fino a dopo la seconda guerra mondiale. La conseguente rapida crescita della produzione di materie plastiche è straordinaria, superando la maggior parte degli altri materiali artificiali. Eccezioni sono i materiali ampiamente utilizzati nel settore delle costruzioni, come l’acciaio e il cemento.
Cos’è il progetto Archeoplastica?
Archeoplastica è un progetto legato all’ambiente che nasce da Enzo Suma, guida naturalistica di Ostuni, che dal 2018 è impegnato insieme ad altre persone nella sensibilizzazione sul tema dell’inquinamento da plastica. Insieme organizzano diverse giornate di raccolta collettiva durante la quale partecipano decine di persone. Enzo si definisce “un accanito raccoglitore di plastiche spiaggiate”. Il suo intento è proprio quello di sfruttare i tantissimi rifiuti spiaggiati che hanno anche più di cinquant’anni per portare l’osservatore a riflettere da un’altra prospettiva sul problema inquinamento da plastica nel mare. Ecco cosa lo ha spinto a creare un museo virtuale dove osservare tutti i reperti e acquisire informazioni e tante mostre, soprattutto nelle scuole, dove poter vedere dal vivo ciò che il mare ci ha restituito.
Com’è nata l’idea?
“L’idea del progetto Archeoplastica legata ai ritrovamenti è maturata quando ho trovato per la prima volta un rifiuto di fine anni ’60. Si trattava di una bomboletta spray Ambra Solare con il retro ancora leggibile che riportava il costo in lire. Quando pubblicai la foto su Facebook scoprii lo stupore della gente nel vedere un prodotto così vecchio ancora in buono stato tra i rifiuti in spiaggia. E da quel post scaturirono dai lettori tante riflessioni sul problema della plastica. Da quell’episodio ho iniziato a raccogliere tutti i prodotti vintage di un’età variabile dai trenta ai sessant’anni. Ho imparato a riconoscerli e fino ad ora. Ho raccolto oltre 200 reperti databili tra gli anni ’60 e ’80. Alcuni sono davvero spettacolari e riportano ben in evidenza la scritta in lire oltre ad avere uno stile retrò particolare”, spiega Enzo Suma.
Questo è uno dei 200 ritrovamenti: Topexan, un antisettico per brufoli ritrovato in una spiaggia di Carovigno (Bari). Si tratta di un prodotto degli anni ’80, visto che in una pubblicità di quell’anno il flacone coincide e dovrebbe essere rimasto uguale nei primi anni ’80. In sostanza, sono circa 30 anni che questa confezione di plastica girovaga tra mari e spiagge, rimanendo praticamente intatta ed immortale.
La visione in 3D e il messaggio di Archeoplastica
Il progetto Archeoplastica mira alla creazione di un vero e proprio museo 3D grazie alla resa pubblica di tutti i ritrovamenti. “Attraverso i fondi registreremo il dominio sul web e acquisteremo l’hosting. Tutti i reperti “archeoplastici”, attraverso un complicato e lungo lavoro fotografico utilizzando la tecica della fotogrammeria, verranno resi disponibili per l’ osservazione in 3D, esattamente come fanno i musei archeologici più all’avanguardia”, spiega Enzo Suma sul funzionamento del nuovo museo virtuale e all’avanguardia.
“Tutti i reperti hanno lo scopo di far riflettere”, aggiunge. “La plastica in mare è quasi eterna. Il messaggio di questi reperti è chiaro: tutto quello che abbiamo buttato i mare è ancora lì. Se non riduciamo la quantità di plastica tra pochi anni in mare ci sarà più plastica che pesci”.
Il museo virtuale avrà il delicato ruolo di sensibilizzare al fine di promuovere azioni finalizzate alla riduzione della produzione di rifiuti di plastica pro capite, puntando l’attenzione sulle plastiche usa e getta.
Ecco un esempio di come sarà possibile osservare in 3D un prodotto come questo che segue: un sapone per piatti degli anni ’70.
Un finale da evitare
Secondo alcuni studi, seguendo i ritmi attuali, nel 2050 saranno presenti nei mari più rifiuti di plastica che pesci. Per questo si è cominciato a parlare di New Plastics Economy, realizzata da Ellen MacArthur, campionessa di circumnavigazione in solitaria nel 2005. SI tratta di un piano che delinea un nuovo approccio basato sulla creazione di percorsi efficaci per le materie plastiche dopo il loro utilizzo. Mira a ridurre drasticamente l’immissione di plastica nei sistemi naturali, in particolare negli oceani, e si pone l’obiettivo di svincolare la plastica dalle materie fossili. Tra gli obiettivi del programma della Ellen MacArthur Foundation ci sono l’eliminazione della plastica in eccesso nel packaging, l’abbandono delle plastiche monouso a favore di materiali riusabili, l’adozione di processi che permettano il recupero del 100% degli imballaggi di plastica entro il 2025 e la creazione di un mercato circolare della plastica da imballaggio. Nella speranza che tutti, imprese e singoli, possano aderire a questi obiettivi per il benessere comune e del mondo.