Un recente studio commissionato dall’Unione europea e pubblicato sulla rivista “Sustainability” lo scorso 11 gennaio è stato pubblicato con un titolo che è già esplicativo: “Un passaporto digitale per i prodotti per il riutilizzo e il riciclaggio di materie prime critiche””.
Di cosa si tratta? Innanzitutto, la causa di questo studio e di questa idea derivano proprio dalla carenza di materie.
Carenza di materie prime, i rischi futuri
Nello studio si sottolinea che “il crescente fabbisogno di approvvigionamento di diverse risorse materiali necessarie per la società industriale e la transizione verso basse emissioni di carbonio sono una preoccupazione crescente. Il problema attuale è principalmente il rischio di pressioni sui costi all’interno delle catene di approvvigionamento, come sperimentato negli ultimi anni, principalmente a causa delle concentrazioni geografiche minerarie e manifatturiere che rendono le catene di approvvigionamento vulnerabili agli shock causati da diverse restrizioni sul lato dell’offerta”.
La necessità di un passaporto digitale
Purtroppo la transizione energetica, sempre più necessaria a causa della crisi climatica in corso, necessita comunque di una fornitura costante di materiali e materie prime critiche che non può (e non deve) essere risolta soltanto attraverso il ricorso all’estrattivismo. Ecco perché il documento commissionato dall’Ue intende “fornire una progettazione concettuale di un sistema di gestione dell’offerta. Quest’ultimo deve essere in grado di consentire il recupero di materie prime critiche a livello di componenti e materiali utilizzando le informazioni scambiate attraverso un prodotto digitale”.
“Un Digital Product Passport – si legge ancora – rende un prodotto universalmente identificabile e le sue informazioni accessibili sia offline che online attraverso un portale web su Internet. I lavori svolti descritti in questo documento fanno parte del progetto quadriennale CircThread finanziato dall’Ue, che insieme a 31 organizzazioni sta testando un’ampia gamma di approcci di gestione e scambio di informazioni per promuovere l’economia circolare delle apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE) utilizzando i passaporti dei prodotti digitali.”
I risultati dello studio sul passaporto digitale
Dallo studio finanziato dall’Unione europea emerge che il passaporto digitale per i prodotti per il riutilizzo e il riciclaggio costituisce uno strumento immediato e utile da adottare. “Le informazioni gestite tramite un collegamento fisico-digitale attraverso i tag dei singoli prodotti – si fa notare – includono le registrazioni dei prodotti, le dichiarazioni sui materiali, gli aggiornamenti sullo stato del ciclo di vita, lo smistamento dei prodotti nei punti di raccolta in base al contenuto di materie prime critiche e la segnalazione dei prodotti per l’estrazione dei componenti delle materie prime critiche. Viene proposta un’architettura di sistemi di intelligenza artificiale basata su dataspace per l’implementazione del sistema di gestione dell’offerta tenendo conto degli standard di informazione globali ed europei”.
Affinché il passaporto digitale sia però davvero realizzabile serve superare alcune lacunosità. Come ad esempio quelle relative ai prodotti elettrici ed elettronici esistenti sul mercato dell’Unione europea che “non dispongono di passaporti digitali dei prodotti”. Questi sono attualmente oltre un miliardo. In più vanno garantiti ulteriori “investimenti nelle tecnologie di estrazione di materie prime critiche presso gli impianti di riciclaggio”. Serve poi una standardizzazione a livello comunitario nelle dichiarazioni di sostenibilità e di tracciabilità da parte dei produttori.
Mentre dal punto di vista legislativo il mercato delle materie prime secondarie deve essere rafforzato, ad esempio richiedendo una percentuale obbligatoria di contenuto riciclato di materie prime critiche nell’ambito del nuovo regolamento sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili.
Fonte: Economiacircolare.com